4° Incontro – 22 Novembre 2024
ABRAMO e ISACCO
L’episodio narrato in Genesi 22,1-19 non cessa di interrogare la coscienza dei credenti, tanto sembra assurdo.
Per una interpretazione adeguata vanno tenuti presenti alcuni particolari, tra cui il primo è l’atteggiamento di fondo che Abramo è sollecitato a far proprio lungo tutta la vicenda in cui Dio lo ha coinvolto: egli è stato gradualmente condotto a svincolarsi da una mentalità possessiva nei confronti della terra d’origine.
L’appello a vivere la stessa esperienza di spossessamento è stato da lui avvertito anche nei confronti del figlio della promessa e raggiunge il culmine della drammaticità allorché Dio interviene ordinando che il figlio tanto desiderato venga offerto in olocausto (Gn 12,1):
Gn 12,1 – va verso la terra che io ti farò vedere
Gn 22,2 – va verso la terra di Moria = della visione
La chiara corrispondenza tra i due versetti mostra come Abramo abbia sentito risuonare nella sua coscienza lo stesso imperativo, quello di non allungare le mani sul dono ricevuto, di non farsene padrone.
C’è da considerare anche l’annotazione che apre il racconto: ”Dopo questi fatti, Dio mise alla prova Abramo”, una sorta di titolo e che offre la chiave interpretativa di ciò che sta per essere narrato. L’obiettivo non è il sacrificio di Isacco, ma la prova a cui viene sottoposto Abramo. La prova riguarda fondamentalmente il senso della vita, con cui ci si misura ogni volta che si è posti in situazioni di oscurità e di pericolo. Quello è il momento del vaglio decisivo, in cui viene a galla ciò su cui si fa realmente affidamento: è il tempo della verità.
La prova a cui è sottoposto Abramo non è diversa da quella che Israele ha dovuto ripetutamente affrontare nel corso della sua storia (cfr Dt 8,2.6; Es 15,25; 16,4; 20,20). Essa illustra in modo emblematico la difficile esperienza con cui tutti si devono misurare. Come Abramo, ogni persona si trova, prima o poi, ad affrontare una realtà contradditoria, difficile da portare: la compresenza di un dono vitale e di un imperativo che comanda di rinunciare a possederlo.
Va ancora notato come, al centro della storia, risaltino le parole che Abramo rivolge dapprima ai servi (“Io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi torneremo da voi”) e poi a Isacco (“ Dio provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!”). Da esse traspare la fiducia radicale da cui è sostenuto mentre si incammina verso il luogo dell’offerta. È una fiducia non cieca, perché maturata durante tutta la storia, nella quale ha potuto discernere i segni dell’amore fedele di Dio. Avendo messo tutto in gioco sulla Parola di Dio, Abramo riceve di nuovo tutto; la vita consegnata a Dio non è persa, ma riconsegnata come benedizione per tutti.
“Abramo chiamò quel luogo “Il Signore vede”; perciò oggi si dice: “Sul monte il Signore è visto”. Il Signore è sperimentato nella sua vera identità come presenza che salva.